Archive for Settembre, 2012

L’herpes genitalis è un’infezione sessualmente trasmissibile, molto diffusa in dermatologia genitale. Il virus erpetico che genera la patologia è solitamente l’HSV2, trasmesso tramite contatto venereo o, più raramente, il virus HSV1, responsabile dell’herpes labiale. In questo secondo caso la trasmissione avviene tramite il contatto della mucosa labiale infetta con i genitali. L’infezione si manifesta quindi tramite il contatto diretto con la persona infetta: il virus entra nelle cellule epiteliali e, replicandosi, genera la sintomatologia propria della patologia.

L’herpes genitalis si manifesta attraverso lesioni focali cutanee e sottocutanee circoscritte alla mucosa vulvare femminile o peniena maschile. Tali infiammazioni spesso evolvono in ulcere dolorose, talvolta ricoperte da fastidiose croste. Solitamente il livello di gravità dell’herpes genitalis è maggiore nei casi di prima infezione, durante le quali la lesione può estendersi fino alle cosce, all’area anale e alla mucosa rettale.

I primi sintomi sono individuabili nella presenza di una serie di bollicine bianche che generano prurito e un fastidioso dolore nel momento in cui si compie l’azione del grattarsi. Spesso, sopraggiungono anche la febbre, il gonfiore e il rossore delle ghiandole inguinali.

Se l’herpes genitalis viene contratto dal soggetto, tenderà a ripresentarsi anche successivamente nei momenti di maggiore debolezza immunitaria. Tuttavia, le successive manifestazioni del virus daranno meno intense e più brevi, grazie alla memoria del nostro sistema immunitario.

Per la cura dell’herpes genitalis, la terapia consigliata prevede l’assunzione di un farmaco antivirale per via orale, funzionale all’accelerazione della guarigione. In abbinamento potrà essere assunto un antistaminico per provvedere alla sensazione di prurito. Le successive manifestazioni possono invece essere curate con una crema antivirale che riduce la durata degli episodi. Non emerge quindi una cura definitiva. I consigli medici vanno nella direzione dell’adozione di comportamenti sessualmente responsabili, finalizzati ad arrestarne la contagiosità.

Il termine atrofia viene utilizzato per indicare la perdita o la diminuzione della massa dei tessuti e degli organi, dovuta alla riduzione del numero di cellule e delle loro dimensioni fino ad un minimo funzionale alla sopravvivenza. Il termine atrofia deriva dal greco e significa ‘senza nutrimento’. I corpi e i tessuti interessati dall’atrofia perdono infatti volume, forma e tonicità, oltre che la loro funzione nell’organismo.

L’atrofia può essere fisiologica o patologica ed essere causata da vari fattori. Tra questi vi è la conduzione di una vita sedentaria, abbinata ad un’alimentazione scorretta: tale stile vita può generare una forma atrofica da disuso. A generare questo tipo di atrofia può concorrere anche il ridotto utilizzo di un tessuto o di un organo, a causa della sua momentanea lesione: si pensi ad esempio all’ingessatura di un arto. Tuttavia, a scatenare l’atrofia possono concorrere anche cause più gravi, quali la perdita di innervazione dovuta alla lacerazione di un nervo o di frazioni di midollo spinale, l’insufficienza di apporto del sangue, le malattie come la sclerosi laterale amiotrofica, il diabete o l’infarto e, infine, l’invecchiamento.

L’atrofia è una forma patologia che può interessare diverse parti dell’organismo. Le atrofie maggiormente diffuse sono: l’atrofia bruna, l’atrofia fisiologica, l’atrofia da malnutrizione, l’atrofia dovuta allo scarso apporto di sangue, l’atrofia da disuso, l’atrofia connessa all’innervazione, l’atrofia da invecchiamento.

I sintomi dell’atrofia variano a seconda della parte corporea interessata. Tuttavia prevalgono l’indolenzimento e la riduzione di massa dei muscoli.

Anche le cure dell’atrofia variano a seconda della forma patologica che si manifesta. Solitamente l’atrofia da disuso prevede una terapia basata su una sana alimentazione e sull’esercizio fisico. Per le altre tipologie di atrofia non vi è invece una cura definitiva e, in alcuni casi, prima di avviare la terapia occorre eliminare le cause che hanno generato la patologia.

Con il termine epicondilite si intende un’infiammazione dei tendini dell’epicondilo laterale, nonché l’ossatura del gomito. Tale condizione patologica è anche nota come ‘gomito del tennista’, in quanto diffusa tra gli atleti del settore. Tuttavia si tratta di un’infiammazione che può coinvolgere tutti coloro che mantengono per molto tempo i gomiti fermi nella stessa posizione, per motivi di studio o di lavoro. Proprio per questo è consigliabile riscaldare i gomiti prima di impiegarli in sforzi eccessivi.

L’epicondilite, infatti, può svilupparsi in seguito a grandi sforzi che comportano un sovraccarico per il gomito, causando un’infiammazione dei tendini. Tuttavia, l’epicondilite può correlarsi anche a lesioni dei tendini o a traumi del gomito.

I sintomi più comuni sono il manifestarsi del dolore durante i movimenti che coinvolgono il polso, il braccio e la mano. Inoltre, è possibile che si verifichi la debolezza dell’avanbraccio o, nella peggiore delle eventualità, la difficoltà a tenere in mano gli oggetti.

L’epicondilite è diagnosticabile con l’ecografia tendinea effettuata con power Doppler, al fine di identificare le zone di lesione dei tessuti del tendine. La radiografia può essere invece effettuata per escludere la relazione dei sintomi ad eventuali fratture. L’epicondilite nel complesso non genera complicazioni gravi, anche se trascurarla può acutizzare il dolore e diminuire le possibilità di guarigione. Se l’automedicazione, consistente nel riposo, nell’applicazione del ghiaccio e della benda sull’infiammazione e nell’assunzione di antidolorifici non funziona occorre rivolgersi al medico. I sintomi più gravi che possono manifestarsi in tali casi sono lo scaldarsi del gomito e la comparsa della febbre, le sembianze di deformità che il gomito può assumere, l’impossibilità di piegarlo e il sospetto della rottura di un osso.

Quando il dolore generato dall’epicondilite è piuttosto acuto, la terapia prevede l’interruzione temporanea dell’attività lavorativa e sportiva funzionale a immobilizzare il gomito per circa venti giorni e l’assunzione di farmaci antinfiammatori. Si suggerisce anche l’effettuazione di due o tre infiltrazioni steroidee e le iniezioni di cortisone ai tendini. Se questo tipo di cure non sortiscono effetto, è consigliato l’intervento chirurgico. In questi casi, dopo aver effettuato l’anestesia locale o totale, si applica una piccola incisione nella zone dell’epicondilo al fine di ripulire il tendine infiammato tramite il risanamento dell’area del tendine o tramite il distacco e la successiva ricongiunzione del tendine all’osso. Una recente alternativa all’intervento chirurgico è costituita dalle onde d’urto, rivelatesi una terapia efficace.

L’astigmatismo è un difetto refrattivo della vista. Il disturbo è causato dalla conformazione della cornea che, invece di essere simmetrica e sferica, si presenta come asimmetrica ed ellittica. L’astigmatismo è dunque generato dalla curvatura della cornea, o meglio dalla differenza tra il meridiano verticale e quello orizzontale. Di conseguenza i meridiani oculari presentano un potere refrattivo diverso. In questi casi succede che i raggi luminosi che colpiscono l’occhio non si focalizzano tutti sullo stesso punto, ma su due piani diversi. Tale anomalia è un difetto congenito, rilevabile già a partire dai primi anni di vita, ma può comparire anche successivamente ad interventi chirurgici oculari, come ad esempio l’operazione alla cataratta, o essere causato dal distacco della retina.

I sintomi dell’astigmatismo sono individuabili nella difficile messa a fuoco delle immagini, in quanto i raggi luminosi che colpiscono l’occhio non si focalizzano in un punto preciso, ma lungo il conoide di Sturm, un intervallo di visione sfocata. Siamo in presenza di astigmatismo regolare se vi sono due linee focali; se invece le linee focali sono maggiori a due, si tratterà di astigmatismo irregolare. L’astigmatismo comporta dunque una visione distorta e deformata delle immagini. Lo sforzo nel mettere a fuoco le immagini che risultano indistinte può provocare disturbi astenopeici, stanchezza e affaticamento visivo.

L’astigmatismo può essere distinto in tre differenti tipologie: l’astigmatismo miopico, l’astigmatismo ipermetropico e l’astigmatismo misto.

La diagnosi di questo disturbo della vista viene delineata sulla base dell’oftalmometria e della topografia corneale. Una volta accertata la presenza dell’astigmatismo si consiglia l’utilizzo degli occhiali con lenti cilindriche e toriche o delle lenti a contatto morbide toriche o semirigide. In alternativa si può procedere con l’eliminazione del disturbo tramite intervento chirurgico refrattivo grazie all’impiego della tecnologia laser ad eccimeri (Lasik e Prk), che garantisce rischi minimi ed elevate opportunità di riuscita.

La Prostata è una ghiandola presente nei soggetti di sesso maschile che costituisce parte dell’apparato genitale ed è deputata all’emissione del liquido seminale.

La Prostata è un organo molto importante e pertanto la sua funzionalità va monitorata periodicamente nel tempo mediante uno speciale esame: la palpazione rettale, la quale viene eseguita da un medico specialista mediante l’inserimento manuale, permettendo di controllare così le dimensioni della ghiandola e verificare l’eventuale presenza di talune malformazioni.

L’esplorazione digitale del retto viene effettuata da un medico specialista e, qualora l’esame della Prostata rilevasse la presenza di talune malformazioni o anomalie della struttura, si rende necessario procedere con esami più approfonditi volti a rilevare la possibile presenza di talune problematiche. Il cancro alla Prostata e l’ipertrofia prostatica sono patologie presenti in percentuali sempre più elevate tra la popolazione occidentale maschile, colpendo soprattutto coloro con un’età superiore ai 50 anni.

L’esame alla Prostata prevede l’inserimento manuale da parte del medico e la seguente palpazione rettale, in quanto l’organo è collocato a5 centimetri dall’ano e , pertanto, è facilmente raggiungibile.

Alcuni studi hanno rilevato che il tumore alla Prostata può essere accertato anche attraverso specifici esami del sangue: elevati livelli di Psa (ovvero una sostanza prodotta nello sperma) possono essere infatti indice di un malfunzionamento dell’organo, anche se per l’accertamento della patologia occorre effettuare esami approfonditi. L’ecografia addominale e la biopsia prostatica rappresentano le principali modalità attraverso cui è possibile monitorare la corretta funzionalità dell’organo e accertare la presenza di problematiche: qualora si rilevasse la presenza del tumore prostatico è necessario procedere all’asportazione chirurgica della ghiandola.

La Società italiana di urologia ogni anno attiva programmi di prevenzione dalle malattie che possono colpire la Prostata, coinvolgendo tutti gli individui di sesso maschile ma soprattutto coloro con un’età superiore ai 50 anni, i quali hanno maggiori possibilità di sviluppare problematiche inerenti il non corretto funzionamento dell’organo.