Archive for Aprile, 2012

Se sei in gravidanza è bene sapere che esiste la possibilità di dover effettuare un parto indotto.

Il parto indotto si rivela necessario in presenza di determinati valori riscontrati in una gravidanza prolungata. Per capire se la gravidanza dura più a lungo rispetto alla norma, bisogna essere sicuri della data di concepimento e della data prevista per il parto.

Quando è necessario effettuare il parto indotto?

Una gravidanza può durare in media dalle 40 alle 42 settimane. Ma già dall’inizio della 38° settimana la gravidanza può esser considerata terminata. Il giorno della nascita può variare in base al calcolo del giorno di concepimento. Infatti, anche se il medico conta l’inizio della gravidanza dal primo giorno dell’ultima mestruazione, il concepimento sarà avvenuto dal 14° giorno in poi, perché in tale data inizia l’ovulazione (in un ciclo regolare di 28 giorni).

Arrivati alla 42° settimana non bisognerebbe attendere oltre per la nascita del bambino. Eppure le contrazioni non arrivano, come procedere?

Il ginecologo sottoporrà la futura madre a degli esami per controllare lo stato di salute del feto e dalla gravida. In particolare verificherà: se la placenta è abbastanza matura, se il liquido amniotico è presente in quantità sufficiente, se il feto è in un buono stato di salute. Se uno di questi valori è negativo vuol dire che si deve ricorrere al parto indotto.

Come avviene il parto indotto?

Il parto indotto consiste in una tecnica ostetrica volta a stimolare l’inizio del travaglio. Per indurre il parto non è necessario effettuare il cesareo, a meno che le condizioni fisiche del collo dell’utero, il livello di dilatazione e la posizione del feto non lo rivelino necessario.

Il parto viene indotto artificialmente tramite il distacco o la rottura artificiale delle membrane, l’introduzione di gel di prostaglandine o fleboclisi di ossitocina.

Queste operazioni stimolano il travaglio, determinano le contrazioni e aumentano la dilatazione.

La mononucleosi è rappresentata da un aumento delle cellule mononucleate del sangue. La mononucleosi di per sé non è una malattia. Lo è invece la mononucleosi infettiva. Tale malattia è più diffusa tra gli adulti, nei quali si manifesta dopo 4 – 6 settimane dall’infezione, e nei bambini in cui invece il periodo di incubazione è di circa 15 giorni. Ecco i segnali che ci avvertono che abbiamo la mononucleosi infettiva.

Come faccio a capire che ho la mononucleosi infettiva?

La mononucleosi infettiva è un’infezione virale causata dal virus di Epstein-Barr detta anche malattia del bacio, febbre ghiandolare, malattia del sesso. Il virus viene contratto in seguito al contatto con la saliva e l’urina della persona infetta.

Sono gli esami del sangue a rivelare la presenza della mononucleosi infettiva perché segnalano un’elevata presenza di globuli bianchi di grandi dimensioni, linfociti, monociti e una diminuzione di piastrine.

I sintomi molto simili a quelli influenzali:

  • la febbre spesso elevata nei giovani;
  • mal di gola;
  • stanchezza;
  • ingrossamento dei linfonodi del collo, delle ascelle;
  • cefalea;
  • vomito;
  • dolori addominali;
  • brividi;
  • ingrossamento della milza (splenomegalia). Quest’ultima può essere una delle complicanze della mononucleosi, in quanto possono verificarsi emorragie interne portando ad uno shock ipovolemico o alla morte del soggetto.

Altre complicanze della mononucleosi sono: la sovrainfezione batterica faringo-tonsillare, la meningite, e l’encefalite.

Sei in gravidanza e hai avuto contatti con soggetti infettati dalla mononucleosi?

Se durante la gravidanza sei stata a contatto con soggetti che hanno la mononucleosi anche per il semplice fatto di usare lo stesso bicchiere, non preoccuparti! Se in passato sei già stata infetta dal virus, non puoi contrarlo più in quanto avrai acquisito l’immunità al virus. Anche se non hai contratto la mononucleosi in passato non ci sono conseguenze per il feto.

Guarire dalla mononucleosi infettiva

Per quanto riguarda la terapia da seguire per la guarigione è necessario assoluto riposo, una sana ed equilibrata alimentazione, bere molti liquidi per evitare la disidratazione. Gli antipiretici e gli antinfiammatori alleviano i dolori della febbre. È meglio non praticare sport per almeno uno o due mesi per evitare un’eventuale rottura della milza.

Il melanoma è tumore maligno cutaneo. Colpisce i melanociti ossia cellule della cute, delle mucose, delle meningi e dell’occhio.

Il melanoma è ritenuto un tumore maligno perché le sue cellule maligne si propagano nei linfonodi e nei vasi sanguigni tramite il fenomeno della metastasi.

È stato dimostrato che intervenire sul melonoma in modo preventivo o precoce può ridurre il rischio di morte. Vediamo come si forma il melanoma, i sintomi e le possibili cure.

Chi colpisce il melanoma?

Ti starai chiedendo quali sono i soggetti a rischio del melanoma. Il melanoma colpisce maggiormente i soggetti con la pelle chiara, a partire dai 35 anni fino ai 65 anni. Le donne sono leggermente più a rischio rispetto agli uomini.

Il melanocita è la cellula responsabile del colorito della pelle. Un’eccessiva esposizione al sole o ad altri strumenti che proiettano raggi UV, specialmente da parte di soggetti con pelle chiara e nei indicati come “sospetti” dal medico, sono fattori che rischiano la formazione del melanoma.

Come faccio a capire se ho un melanoma? Guida ai sintomi del melanoma.

Purtroppo il melanoma è un tumore maligno, ma se preso in tempo, può esserci qualche margine di guarigione. A tal proposito, è meglio informarsi immediatamente sui sintomi, in modo da poter riconoscere se siamo stati colpiti da melanoma e procedere con le cure necessarie.

Il melanoma si manifesta sottoforma di neo dalle caratteristiche particolari: bordi frastagliati, colore (ossia i pigmenti) e simmetria che cambiano, l’estensione o la riduzione delle dimensioni in verticale o in orizzontale.

È importante tenere sotto controllo la quantità e l’aspetto di nei o nevi presenti nel nostro corpo. È raccomandabile effettuare uno screening dei nei per valutarne la malignità e farli asportare.

È possibile curare il melanoma? Vediamo terapie per sopravvivere al melanoma

La “biopsia escissionale” ha l’obbiettivo di far annullare il rischio di morte perché consiste nell’asportare il neo prima che inizi la fase di metastasi. Se invece ti sei accorto del melanoma quando era allo stato avanzato, si possono solo applicare terapie adiuvanti, ossia che allungano la durata della sopravvivenza.

Il coito interrotto consiste nell’estrazione tempestiva del pene eretto dalla vagina prima dell’eiaculazione, al fine di evitare che lo sperma entri in contatto diretto con la vagina.

Il coito interrotto viene spesso adottato come pratica contraccettiva, ma la sua efficacia è dubbia sotto diversi punti di vista, non ultimi i fattori psicologici legati al rapporto di coppia.

Innanzitutto non assicura nessun tipo di protezione da malattie veneree, al contrario di quella che può essere offerta dal profilattico.

Inoltre l’efficacia anticoncezionale del coito interrotto è messa a rischio fin dalla fase pre-eiaculatoria, durante la quale si ha una prima leggera fuoriuscita di liquido seminale, che in un terzo dei casi contiene piccole quantità di sperma mobile e quindi attivo. La maggior parte delle gravidanze indesiderate in seguito alla pratica del coito interrotto ha origine con un secondo rapporto sessuale ravvicinato, ignorando la permanenza nelle ghiandole parauretrali alla base del pene di sperma ancora attivo che viene nuovamente mobilizzato dalla ripresa del massaggio continuativo sul pene.

In numeri, l’efficacia contraccettiva del coito interrotto è stimata in base all’indice di Pearl in 10-18 gravidanze annue ogni 100 donne, un valore dunque molto basso, nettamente inferiore rispetto alla protezione offerta da pillola anticoncezionale o preservativo, che abbattono la percentuale al 0,5%.

Non è da ritenersi dunque un metodo anticoncezionale efficace; ciononostante, pare che in linea generale almeno in Italia prevalga un elemento di ignoranza riguardo ai reali metodi anticoncezionali, visto che ogni anno continuano a nascere più di 100.000 “figli del coito interrotto”.

Inefficacia a parte, non sono meno importanti le ripercussioni che la pratica del coito interrotto può avere sulla sfera psicologica, affettiva ed emotiva per la donna in primo luogo, ma in generale nel rapporto di coppia.

Fra i fattori psicologici più importanti c’è prima di tutto il fatto che il controllo dei rischi di una eventuale gravidanza viene sottratto alla donna, che è invece il soggetto fisicamente esposto ed emotivamente più coinvolto dalla possibilità di una fecondazione; la dose di autocontrollo richiesta da parte del partner maschile è inoltre molto elevata e, con una possibile eccezione per le coppie affiatate e con una buona esperienza sessuale, l’incognita rimane quindi troppo ampia. A questi fattori si aggiungono le potenziali ripercussioni negative nella sfera del piacere per entrambi i partner: nella donna la brusca interruzione del rapporto sessuale, unita all’impossibilità di esercitare un controllo diretto su questo e sui rischi che può comportare, e alla scarsa attenzione dedicata al suo orgasmo da parte dell’uomo, il coito interrotto può generare ansia e difficoltà ad eccitarsi; per l’uomo si possono generare ansia da prestazione, eiaculazione precoce o perdita dell’erezione.

La fimosi è un restringimento prepuziale per cui la pelle del prepuzio, se non sufficientemente elastica, non riesce a scoprire in maniera completa e autonoma il glande.

La fimosi si può presentare in due modi: serrata, con un restringimento quasi totale del prepuzio intorno al glande anche a pene non eretto, tale da poter causare anche difficoltà nell’urinare; non serrata, quando a pene eretto il glande non si riesce a scoprire, o si riesce a farlo solo parzialmente.

In caso di fimosi serrata, questa si può risolvere attraverso la circoncisione, ovvero l’asportazione totale o parziale della pelle del prepuzio che lascia il glande scoperto. Questo piccolo intervento avviene in anestesia locale e con dimissione immediata, previa fasciatura della parte interessata. I punti, sottili e ravvicinati, si riassorbono nel giro di poco tempo e il modesto edema naturalmente provocato dall’intervento scompare nell’arco di un paio di settimane; durante la prima settimana post circoncisione il paziente dovrà automedicare la ferita, ma potrà fin da subito riprendere le proprie attività, tranne quelle sessuali, per le quali dovrà attendere almeno due o tre settimane.

Se la fimosi è non serrata, se congenita, la madre, dopo aver fatto il bagno al bambino, può tentare molto delicatamente di vincere la resistenza della pelle del bimbo per farle acquisire elasticità, con l’ausilio di emollienti che evitino irritazioni a una pelle tanto delicata.

Se acquisita in età adulta in seguito a infiammazioni funginee o infezioni batteriche del glande o del prepuzio, che sia serrata o non serrata, la soluzione quasi sempre è la circoncisione. L’alternativa per la risoluzione di una fimosi, può essere praticata attraverso creme steroidee e una terapia antibiotica, previa analisi microbiologica che possa permettere di riconoscere i germi all’origine dell’infezione; a questa terapia si possono unire tentativi molto delicati di scopritura del glande, ma occorre prestare molta attenzione perché un’eccessiva forzatura potrebbe provocare una parafimosi, per cui sempre per mancanza di elasticità cutanea non si riesce più a coprire il glande, con il rischio di uno strangolamento dello stesso che renderebbe necessario un intervento d’urgenza.

In ogni modo, la terapia antibiotica non sempre si rivela efficace e definitiva e molto spesso si dovrà comunque ricorrere alla chirurgia.

È bene curare sempre l’igiene intima per prevenire le infiammazioni e le infezioni di glande e prepuzio, perché queste possono essere causa non solo di fimosi ma anche di altre patologie; inoltre le infezioni balano-prepuziali sono frequentemente associate da eiaculazione precoce, perché l’irritazione provocata dall’infiammazione di una zona tanto delicata stimola ulteriormente i ricettori nervosi della sensibilità, numerosissimi sul glande.

Quando di ha una contrazione anomala del cuore, che si manifesta con un battito prematuro, si parla di extrasistole. Questa avviene come risposta meccanica del muscolo cardiaco a un impulso stimolativo, a seconda del cui punto di origine si parla di extrasistole sopraventricolare (o atriale), giunzionale (del nodo atrio-ventricolare) o ventricolare; a seconda invece che il punto di origine sia unico o che, al contrario, l’extrasistole parta da punti diversi, si parla rispettivamente di extrasistoli monofocali o plurifocali.

Il termine extra è riferito proprio al fatto che questo evento cardiaco ha origine in una zona del cuore diversa da quella consueta, distaccata dal nodo seno-atriale da cui parte normalmente l’attività elettrica cardiaca; per questa sua “delocalizzazione” l’extrasistole è detta anche battito ectopico.

L’extrasistole avviene immediatamente dopo una regolare contrazione cardiaca ed è seguita da una pausa più lunga del solito (detta pausa compensatoria) prima del successivo battito, col quale solitamente si ha un ripristino del normale ritmo cardiaco; se invece la somma del periodo dell’extrasistole più la pausa è minore di due normali cicli sinusali la pausa è detta non compensatoria.

Nei casi di extrasistole sopraventricolare e giunzionale, il cuore fa in tempo a riempirsi di sangue e l’extrasistole non impedisce la regolare attività cardiaca di pompaggio, con l’extrasistole ventricolare invece il cuore non potrà coordinarsi adeguatamente limitando momentaneamente tale attività; quest’ultimo tipo di extrasistole può dare origine a una serie di extrasistoli consecutive, generando un evento cosiddetto “a salve” o “run”, che può essere pericoloso in quanto potenziale preludio a una tachicardia ventricolare o a una fibrillazione ventricolare.

Le cause dell’extrasistole possono essere stanchezza, stress, disturbi gastrici, sforzi fisici, troppo poche ore di sonno, abuso di caffeina, tabagismo; in alcuni casi anche la distensione del fondo gastrico in seguito a un pasto abbondante, o la presenza di un’ernia iatale possono causare uno o più fenomeni di extrasistole. Più di rado l’origine può essere una malattia cardiaca, della tiroide o un disturbo elettrolitico.

L’extrasistole può comparire a qualsiasi età, anche in soggetti sani, che, soprattutto nel caso in cui l’extrasistole compaia come unico evento isolato, possono non accorgersi di questo battito prematuro; per chi invece lo avverte, le sensazioni provocate dall’extrasistole sono il classico “soffio al cuore”, un rallentamento del battito cardiaco o la sensazione di battito assente, accompagnati da palpitazioni, ansia e sudorazione che sono però non conseguenza diretta dell’extrasistole in sé, quanto del momento di paura avvertito nel momento in cui si percepisce l’extrasistole perché associato a una qualche crisi cardiaca.

Un’ecografia permette di togliersi ogni dubbio e di rilevare i fenomeni extrasistolici valutandone la benignità o meno.